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Come sono diventato Videomaker

Una grande passione per le videocamere sin da piccolo, quando mi divertivo a filmare amici e personaggi di Bonelle, un piccolo paese toscano

marcobartolomei videomaker

Sono nato in un piccolo paese di nome Bonelle , ad una manciata di kilometri da Pistoia, in Toscana. Sin dall’età di 10 anni ho coltivato una grande passione per i film e soprattutto per le modalità con cui venivano creati.Nel 1974 ho usato per la prima volta una videocamera super 8 philips , che mi fece provare un amico. Nel 1980 comprai la mia prima videocamera; una sony analogica con 150 mila lire. …. continua… Mi piace continuare con l’intervista rilasciata ad ANTONELLA PEDERIVA, scrittrice, poeta coll.ce giornalistica.

Marco Bartolomei. Una vita da Videomaker.

Antonella Pederiva, citizen web journalist, scrittrice e poeta veneta / coll.ce di Marco Bartolomei

5 Luglio 2018 Antonella Pederiva

Incontrare Marco Bartolomei è entrare in un mondo fatto di suoni e movimenti, e di paesaggi. E’ fare un viaggio senza bisogno di prendere aerei e treni, basta fissare lo sguardo sui suoi video. Documentari e musica, grandi concerti che ti portano direttamente lì, dove la sua telecamera li ha osservati. Inquadrature mozzafiato, che rivelano istanti e catturano espressioni. L’appuntamento è a Cittadella, nel mio Veneto, e il suo primo commento è ” Meravigliosa. Questa la devo filmare!” . Non smette mai di essere videomaker, Marco, nemmeno mentre sorseggia il caffè; i suoi occhi vagano alla ricerca di un particolare, i suoi occhi inquadrano, analizzano, curiosi e vitali, mettono a fuoco.

Un grande professionista, freelance, sulla scena da più di trent’anni.

Qual è stato, Marco, il motivo per cui hai deciso di fermare il mondo in una telecamera?

Fin da piccolo, ho avuto questa passione per le vecchie cineprese, per i filmini in super-otto. Mi piaceva seguire e osservare quelle tre o quattro persone che si dilettavano a riprendere. Ricordo che stiamo parlando diquarant’anni fa, ed erano veramente pochi quelli che vi si cimentavano.

Video e arte. Un connubio possibile?

Un connubio sicuramente possibile. Arte e video insieme si completano. L’arte senza video può restare prerogativa di pochi. La bellissima città di Bassano del Grappa, raccontata attraverso il mio video “Passeggiando per Bassano”, potrebbe essere irraggiungibile dagli anziani della mia città, Pistoia. Il mio video gliel’ha portata a casa e fatta conoscere. Così è anche per un’opera d’arte, per un quadro, per un concerto.

I video sono arte?

Sì, i video sono arte e chi li fa deve essere un artista.

Cosa pensi sia cambiato nel tuo lavoro dai tuoi esordi ad oggi?

Quando io ho iniziato, si era agli albori delle videoriprese. C’erano le cassette VHS e guardavamo in TV ciò che i cameraman filmavano. Io filmavo Damasco, poeta popolare del mio paese, oppure le feste più importanti di Pistoia. Al massimo qualcosa su Firenze. Ora, con l’avvento dell’era digitale, è cambiato tutto. Soprattutto dal 2000, con i social Network, con Facebook, con Instagram, con Twitter. Tutti possono vedere video sui loro telefonini o sul PC, quindi anche il lavoro del cameraman, che nel frattempo si è evoluto in videomaker, ha dovuto adeguarsi, è diventato ancora più difficile; è diventato, appunto,un’arte. Bisogna saper postare sulle piattaforme, bisogna aggiornarsi continuamente per restare a passo con i tempi, per reggere la concorrenza.

A quale tuo video sei più affezionato?

Ce ne sono molti, ma quello a cui sono più affezionato in assoluto è quello che ho fatto ad Ermal Meta, il vincitore di Sanremo di quest’anno insieme a Fabrizio Moro, a Montespertoli, un anno fa. Ermal è rimasto nell’ombra per anni come compositore e paroliere. Aveva scritto brani per Emma, lo stesso Moro, Mengoni. Io mi ero accorto che nella classifica dei più venduti, i primi cinque erano stati scritti da lui. Ho preso al balzo l’opportunità di incontrarlo, intervistarlo e filmarlo. In lui ho trovato un animo sensibile, una bella persona, vera. Dopo quella prima volta lo ho intervistato altre volte, a Firenze, Perugia, ad Assisi e a Pistoia per il Festival Blues. Siamo rimasti amici e gli ho scritto pure in occasione del Festival di Sanremo. Poi sono affezionato ad altri video importanti, come quello a Gloria Gaynor, grande star internazionale, a Sting, a Santana e poi ad un grande personaggio, Don Backy, che mi ha chiamato personalmente in occasione dell’avvio del suo tour per chiedermi di filmarlo. Un grande onore ed una grande soddisfazione. E’ in queste cose che ti accorgi di aver lasciato un segno e che il lavoro e i sacrifici di una vita sono serviti a qualcosa.

Perché hai optato per un percorso da freelance?

Pochi sanno che io lavoro anche nella sanità, come infermiere. Un lavoro che non mi sono sentito di abbandonare, perché tanto mi ha dato sul piano umano in questi miei 40 anni di servizio. Con l’Usl sono impegnato solo al mattino, questo mi consente di dedicarmi anche a quella che è la mia grande passione. Mi è servito molto il rapporto con il malato perché è necessario essere anche bravi psicologi. Ho trasportato questa mia competenza anche al lavoro di videomaker, per capire l’artista nei suoi diversi aspetti.

Marco Bartolomei qui al Teatro Lyrick di Assisi

Quali sono i tuoi progetti futuri?

Uno dei miei progetti futuri è quello di venire da te a Bassano per fare “Passeggiando per Bassano 2”. Il primo con le sue oltre 51.000 visualizzazioni è stato un successo. Ha ottenuto consensi in Toscana e in Veneto, ma credo in tutta Italia. Poi ci sono i concerti. A Pistoia ho il Pistoia Blues, dove filmerò grandi artisti nazionali ed internazionali. Primo fra tutti Graham Nash, che presenterà il suo nuovo album “Over The Years”, una raccolta di 30 brani che unisce le sue più famose canzoni. Una grande star internazionale che ha fatto più di 1000 concerti di beneficenza e grande attivista nel sociale. E poi James Blunt, e ancora Francesca Michielin, Gianna Nannini e altri. Ho in programma pure Marostica con Alvaro Soler e tanti altri progetti che fanno seguito ad un 2017, dove con 31 Top-eventi sono salito alla cronaca dei videomaker con le riprese a Ermal Meta, Michele Bravi, Gigi d’Alessio, Modà, Tiro Mancino, Nomadi e molti altri. Vediamo di proseguire su questa strada, con sempre più motivazione e con la voglia di mettersi in gioco.

RAINER MARIA RILKE E LA RICERCA DELLA VERITÀ

Di Antonella Pederiva

Il 4 dicembre 1875 nasce a Praga, uno dei maggiori poeti di tutti i tempi, Rainer Maria Rilke.

Accostarsi a Rainer Maria Rilke è, sicuramente, avvicinarsi ad un mondo complesso fatto di grandi interrogativi sul ruolo dell’uomo nella società e nella vita, un uomo profondamente spirituale, a tratti, ma anche talmente materiale da distruggere ciò che di bello lo circonda. La sua poetica, che risente spesso dell’influenza del pensiero di Nietzsche, è costantemente rivolta alla ricerca della verità, ad una più intima conoscenza di sé stessi e del mondo, in un rapporto col divino di matrice più terrena, meno distaccata dal contesto quotidiano. Dio è qui, ora, presente in ogni attività umana ed artistica, un Dio fratello, amico, persino un po’ sbadato che Rilke racconta agli adulti perché lo raccontino ai bambini attraverso il suo libro “Geschichten vom lieben Gott”, “Le storie del Buon Dio”. Un Dio padre, dolce e accogliente come scrive nelle sue poesie:

“Non attender che Dio su te discenda e che ti dica: Sono. Senso alcuno non ha quel Dio che afferma l’onnipotenza sua. Sentilo tu, nel soffio ond’ei ti ha colmo da che respiri e sei. Quando, non sai perché, ti avvampa il cuore, è Lui che in te si esprime”.

NON AVER PAURA, SONO IO

Non aver paura, sono io. Non senti

che su te m’infrango con tutti i sensi?

Ha messo ali il mio cuore

e ora vola candido attorno al tuo viso.

Non vedi la mia anima innanzi a te

adorna di silenzio?

E la mia preghiera di maggio

non matura al tuo sguardo come su un albero?

Se sogni, sono il tuo sogno

ma se sei desto sono il tuo volere;

padrone d’ogni splendore

m’inarco, silenzio stellato,

sulla bizzarra città del tempo.

Accostarsi a Rilke è entrare nell’anima vera della poesia, in una pianura sconfinata di bellezza, leggerlo è liberatorio, è predisporre il cuore all’accoglienza.

LA MIA VITA NON È A QUEST’ORA

La mia vita non è quest’ora ripida

che mi vedi scalare in fretta.

Sono un albero innanzi all’orizzonte,

una delle mie molte bocche,

e la prima a chiudersi.

Sono l’attimo tra due suoni

che male s’accordano

perché il suono morte vuole emergere

–Ma nella pausa buia si riconcili

anoentrambi tremando.

E bello resta il canto.

SII PAZIENTE

Sii paziente verso tutto ciò

che è irrisolto nel tuo cuore e…

cerca di amare le domande, che sono simili a

stanze chiuse a chiave e a libri scritti

in una lingua straniera.

Non cercare ora le risposte che non possono esserti date

poiché non saresti capace di convivere con esse.

E il punto è vivere ogni cosa. Vivere le domande ora.

Forse ti sarà dato, senza che tu te ne accorga,

di vivere fino al lontano

giorno in cui avrai la risposta.

NAZIM HIKMET, UOMO E POETA LIBERO.

Di Antonella Pederiva

È il poeta dell’amore, Nazim Hikmet, ma è anche uomo capace di battersi per degli ideali, capace di esporsi in prima persona, capace di scontare esilio e decenni di prigione per non abbandonare i suoi princìpi. Per i suoi tempi, un sovversivo, per il suo impegno in difesa del proletariato turco, per la sua opposizione al regime, per la sua denuncia del genocidio armeno, per la sua adesione al movimento comunista.

“Accusato di aver tentato di incitare l’esercito turco alla ribellione, Nazim è stato condannato alle punizioni più terribili”, scriverà di lui il suo grande amico, Pablo Neruda. “Il mio fratello poeta sente le sue forze mancare; resiste con orgoglio; comincia a cantare; all’inizio la sua voce è bassa, poi sempre più alta fino a urlare; canta tutte le canzoni, tutti i poemi d’amore che riesce a ricordare, i suoi stessi versi, le ballate d’amore dei contadini, gli inni di battaglia della gente comune; canta qualsiasi cosa che la sua mente ricordi; e così vince i suoi torturatori”, continua a scrivere Neruda che, insieme ad altri intellettuali, tra cui Sartre, Picasso, Tristan Tzara e Robeson istituirà una commissione internazionale per liberarlo. Ci riusciranno ma il fisico del poeta ritornerà alla vita sociale, minato e debole, non così la sua mente che concepirà ancora capolavori di rara bellezza, non così il suo impegno che arriverà anche a denunciare la corruzione degli ideali comunisti. Dopo tanto girovagare, nel 1959 chiederà asilo politico alla Polonia, divenendo cittadino naturalizzato polacco e si volgerà verso nuovi lidi, ancora sconosciuti all’Uomo, nel 1963, dopo aver scritto 9 libri di poesie, tradotti in seguito in 50 lingue, e dopo aver rivoluzionato la moderna poetica, con versi liberi e anticonvenzionali. Uomo e artista indesiderato, come d’altronde sono spesso gli uomini di verità e giustizia, Nazim fu sempre persona libera, nonostante la detenzione, forte di quella libertà che sconfigge sbarre e catene, che non conosce né muri né barriere e nessuno riuscì nell’intento di rubargli entusiasmo, amore e meraviglia per l’esistenza, per questo grande dono di esistere. La sua poesia fu alba, luce ad illuminare il cammino, torcia a rischiarare il buio, fu dolcezza in attesa di tramonto. Solo nel 2002, nel centenario della sua nascita, grazie ad una petizione popolare, gli sarà restituita la nazionalità turca che gli era stata tolta, gli sarà restituito il suo ruolo nella sua terra. Troppo tardi, Nazim era già cittadino del mondo, era già cittadino nel cuore di tutti coloro che, attraverso i suoi versi, hanno scoperto territori sconfinati di sentimenti, emozioni, speranza.

LA VITA NON È UNO SCHERZO

La vita non è uno scherzo.

Prendila sul serio

come fa lo scoiattolo, ad esempio,

senza aspettarti nulla

dal di fuori o nell’al di là.

Non avrai altro da fare che vivere.

La vita non è uno scherzo.

Prendila sul serio

ma sul serio a tal punto

che messo contro un muro, ad esempio, le mani legate,

o dentro un laboratorio

col camice bianco e grandi occhiali,

tu muoia affinché vivano gli uomini

gli uomini di cui non conoscerai la faccia,

e morrai sapendo

che nulla è più bello, più vero della vita.

Prendila sul serio

ma sul serio a tal punto

che a settant’anni, ad esempio, pianterai degli ulivi

non perché restino ai tuoi figli

ma perché non crederai alla morte

pur temendola,

e la vita peserà di più sulla bilancia.

JOSÉ SARAMAGO. ASCOLTANDO BEETHOVEN.

Di Antonella Pederiva .

fotomontaggio dal web

Vengano leggi e gente di giustizia
decalogo di questi ed altri mondi,
vengano editti, ordini e vendette,
e il giudice ci indaghi sino in fondo.

A ogni crocevia della città,
brilli, rossa, la luce inquisitrice,
striscino il suolo i denti dei superbi
e l’ordine ci diano di ramazzarli.

A ogni mano che c’è si chiedano dita,
da insozzare alle schede degli archivi,
non si rispetti mistero né segreto,
Ch’è d’umana natura essere schivi.

Mettano ovunque fogli di presenza,
orologi dall’ora sempre esatta,
non si scelga o s’accetti altra arte
che la prosa d’ufficio, il verso dati.

Ma quando a loro avviso ci hanno in pugno,
circondati da bastoni e da fortezze,
cadranno con fragore gli alti muri
e il giorno verrà delle sorprese.

OUVINDO BEETHOVEN

Venham leis e homens de balanças,
Mandamentos daquém e dalém mundo.
Venham ordens, decretos e vinganças,
Desça o juiz em nós até ao fundo.

Nos cruzamentos todos da cidade
Brilhe, vermelha, a luz inquisidora,
Risquem no chão os dentes da vaidade
E mandem que os lavemos a vassoura.

A quantas mãos existam, peçam dedos,
Para sujar nas fichas dos arquivos.
Não respeitem mistérios nem segredos,
que é natural nos homens serem esquivos.

Ponham livros de ponto em toda a parte,
Relógios a marcar a hora exacta.
Não aceitem nem votem outra arte
Que a prosa de registo, o verso data.

Mas quando nos julgarem bem seguros,
Cercados de bastões e fortalezas,
Hão-de cair em estrondo os altos muros
E chegará o dia das surpresas.

GIORGIO FALETTI. IL POETA.

Di Antonella Pederiva .

Il 25 novembre 1950 nasceva Giorgio Faletti, cantante, attore, comico ma, per me, soprattutto scrittore e grande uomo. Dotato di una capacità eccezionale di esprimere emozioni, di usare le parole per arrivare al cuore.Voglio ricordarlo così:

L’ASSURDO MESTIERE

Ci metterò la mani e un genio da inventore,

Ci metterò un dolore che so io

Ci metterò l’asfalto e il sogno di un attore

Che appoggia il manoscritto sul leggio

E tirerò il cemento come un muratore sa non è possibile

E tesserò una tela che sarà una vela grande e irrestringibile

E tergerò la fronte con la mano aperta per il gran sudore

E accorderò strumenti con il tocco esperto che ha un suonatore

Mi metterò seduto li a impagliare sedie per sedermi insieme

Mi stupirò di non averlo fatto mai e di averlo fatto bene

Perché c’è sangue, c’è fatica, c’è la vita

Anche se a volte ci si spezza il cuore

In questa assurda specie di mestiere

Benedetto tu sia per quel ciuffo di pelo nero

Che se l’hai fatto tu non è cosa brutta davvero

E per le storie eterne dei cartoni animati

Per quei pazzi o quei saggi che li han disegnati

E per quel che si mangia si respira e si beve

Per il disegno allegro della pipì sulla neve

E per le cose tonde e per le cose quadre

Per le carezze di mio padre e di mia madre

Per il futuro da leggere invano girando i tarocchi

Per le linee della mano diventate rughe sotto gli occhi

Perché tutto è sbagliato ed è così perfetto

Per ciò che vinco e ciò che perdo se scommetto

Tu sia benedetto.

Benedetto tu sia

Per avermi fatto e messo al mondo

E per quel che ho detto prima ti perdono

Di non avermi fatto alto e biondo

Ma così stupido e così vero

Con l’eterna paura dell’uomo nero

E del viso bianco come calce

Di quella sua signora con la falce

Che come tutti prima o poi mi aspetto

E per cui altri ti han benedetto

Ma io no

Mi dispiace ma sono solo un uomo e non ne son capace

Ma c’è una cosa che ti chiedo ed è un favore

In cambio del bisogno del dottore

Mentre decidi ogni premio e ogni castigo

Mentre decidi se son buono o son cattivo

Fa che la morte mi trovi vivo

E se questo avverrà io ti prometto

Che mille e mille volte ti avrò benedetto

E se per caso non ci sei come non detto

E avrò davanti agli occhi la mia mano aperta per il troppo sole

E andrò verso la notte con il passo calmo del seminatore

Aspetterò seduto lì per dare un nome all’ombra di qualcuno

Che per un poco sembrerà sia tutti e non sarà nessuno

Perché c’è sangue, c’è fatica, c’è la vita

Anche se a volte ci si spezza il cuore

In questa assurda specie di mestiere

Che è l’amore

“Nella vita ci sono cose che ti cerchi e altre che ti vengono a cercare.

Non le hai scelte e nemmeno le vorresti, ma arrivano e dopo non sei

più uguale. A quel punto le soluzioni sono due: o scappi cercando di

lasciartele alle spalle o ti fermi e le affronti. Qualsiasi soluzione tu

scelga ti cambia, e tu hai solo la possibilità di scegliere se in bene o in

male.

“(Io uccido)

“È tipico delle persone piccole a cui viene dato un piccolo potere. Forti con i deboli, deboli con i forti.

“(Appunti di un venditore di donne)

“Fai attenzione alla tua ombra. Ogni uomo ha un fratello che è la sua copia esatta. È muto e cieco e sordo ma dice e vede e sente tutto, proprio come lui. Arriva nel giorno e scompare la notte, quando il buio lo risucchia sottoterra, nella sua vera casa. Ma basta accendere un fuoco e lui è di nuovo li, a danzare alla luce delle fiamme, docile ai comandi e senza la possibilità di ribellarsi. Sta disteso per terra perché glielo ordina la luna, sta in piedi su una parete quando il sole glielo concede, sta attaccato ai suoi piedi perché non può andarsene. Mai. Quest’uomo è la tua ombra. È con te da quando sei nato. Quando perderai la tua vita, la perderà con te, senza averla vissuta mai. Cerca di essere te stesso e non la tua ombra o te ne andrai senza sapere che cos’è la vita.

“(Fuori da un evidente destino)

FREDDIE MERCURY. TRENT’ANNI DOPO.

Di Antonella Pederiva

Cosa resta di Freddie Mercury trent’anni dopo la sua morte, il 24 novembre 1991? Molto. Forse ancora di più di quando era in vita, come succede spesso ai grandi artisti, rivalutati e riscoperti più durante la loro assenza che nella presenza.Che Freddie Mercury fosse un grande, comunque si era capito presto; un cantante con un’estensione vocale in grado di coprire quattro ottave e una presenza scenica come la sua non può passare inosservato. Personaggio controverso ma carismatico, istrionico e geniale, Freddie è stato un uomo che sul palco è riuscito a coniugare musica e teatro, ironico, dissacrante, innovativo, fantasmagorico nelle sue strabilianti trasformazioni. Con il gruppo da lui fondato all’inizio del 1970 insieme a Brian May, Roger Taylor e Mike Grose (sostituito a febbraio 1971 da John Deacon), ha composto e portato letteralmente in scena capolavori, solo per citarne alcuni, come Bohemian Rhapsody, We Are the Champions, Somebody to Love, Killer Queen, Don’t Stop Me Now, The show must go on, Radio Ga Ga, We will Rock You, Bicycle Race. Nato come Farrokh Bulsara, figlio di Bomi e Jer Bulsara (originari del Gujarat, una regione dell’India occidentale, di etnia parsi e religione zoroastriana), cresciuto, insieme alla sorella Kashmir, a Stone Town, nell’isola di Zanzibar, Mercury cominciò ad esibirsi giovanissimo alla St. Peter’s Boys School di Panchgani, nei pressi di Bombay, in India, dove i compagni lo soprannominarono Freddie e dove si fece notare anche per il suo talento sportivo. A causa della rivoluzione che stava cambiando gli assetti politici dell’isola, fu costretto, nel 1964, a 18 anni, ad emigrare in Inghilterra con tutta la famiglia. Ed è proprio in Inghilterra che, dopo vari tentativi di farsi strada insieme ad altri gruppi, conosce coloro che entreranno nella Storia insieme a lui sotto il nome altisonante di Queen. Aldilà delle classifiche che lo vogliono al diciottesimo posto come migliore cantante e secondo tra i migliori frontman, meritato è sicuramente il primo posto come Greatest Rock Legend Of All Time, la più grande leggenda rock di tutti i tempi. Non potrebbe essere altrimenti, nessuno come lui, nonostante la sua timidezza nella vita quotidiana, ha meglio saputo impadronirsi del palco e stravolgere l’idea stessa di spettacolo. La sua arte, il suo talento, la sua abilità di compositore e di musicista, i suoi travestimenti, la sua grinta, la sua personalità magnetica e sensuale, il suo modo di fare musica con quel vibrato da 7 HZ assolutamente incredibile, la sua capacità di trarre energia dal pubblico, di dispensare a pieno rock la sua energia, fanno di lui un mito, una leggenda assoluta, regale e immortale.

“Ho sempre di più la sensazione che, in un certo senso, Freddie sia ancora con noi. Forse sto diventando un po’ romantico ma Freddie fa parte di tutte le mie giornate”. Queste le parole di Brian May (uno dei migliori chitarristi di sempre, un artista che con la sua fedele chitarra soprannominata Red Special o anche Fireplace o Red Lady, dal colore rossastro del mogano e dall’unicità di questo strumento, il cui manico è stato ricavato da una mensola di un vecchio caminetto), in una delle sue interviste concesse per festeggiare il ritorno al primo posto in classifica con la ristampa per i 40 anni della raccolta “Greatest Hits”, l’album più venduto nella storia del Regno Unito.

Empty spaces what are we living for Abandoned places – I guess we know the scoreOn and on, does anybody knowwhat we are looking for…Another hero, another mindless crime Behind the curtain, in the pantomime Hold the line, does anybody want to take it anymore The show must go on.

Spazi vuoti, per che cosa viviamo? Luoghi abbandonati, immagino che noi ne sappiano la ragione Sempre avanti, c’è qualcuno che sappia quel che cerchiamo?Un altro eroe, un altro irragionevole crimine Dietro il sipario, nella pantomima Mantenere la posizione, c’è ancora qualcuno che voglia farlo? Lo spettacolo deve andare avanti.

LA VIOLENZA NASCOSTA. TU TACI.

Di Antonella Pederiva

Quando si parla di violenza sulle donne, spesso la visione che si associa è la violenza fisica, quella che lascia segni sulla pelle e sulla carne. Ma esiste un altro tipo di violenza, meno facile da individuare, che lascia cicatrici profonde nell’anima. È la violenza psicologica, quella fatta soprattutto di parole, di frasi, di atteggiamenti, a volte, di indifferenza. È quel sottile gioco perverso che, piano piano, si insinua come certezza. La certezza di non essere adeguata, di valere poco, di non essere in grado di affrontare la vita senza la presenza costante di colui che si è erto a dominatore. Il nulla fatto di nulla che fa della vita un nonsenso. Uscire dalla spirale dell’annientamento della volontà e della stima di sé è difficile. Non ci sono bende a lenire le ferite, invisibili agli occhi di chi guarda, di chi non vede oltre l’apparente alone di normalità.

Dal mio libro “Anima d’aquila“:

TU TACI

(Menzione di Merito Premio Internazionale CET Scuola Autori di Mogol)

Foto: Illustrazione per “Anima d’aquila” del Maestro Samuele Degetto.
Opera ” Sognando sott’acqua”.

Cerco un punto

d’incontro,

un suono, una voce

qualcosa

che mi faccia

capire.

Aspetto una mano

che tesa

si stringa alla mia,

un segno furtivo

che accolga

la mia mente confusa.

Tu accendi una luce

e la spegni

senza chiedermi niente

di me.

Oh che cupo dolore

se allora

donare a te l’anima mia

io volevo,

se con l’ansia

di dirti parole

i miei vuoti riempivo.

Tu taci

e in silenzio sprofonda

la mia solitudine.

(Antonella Pederiva)

CHE NE È STATO DELLA GENTILEZZA?

Di Antonella Pederiva.

fonte foto / web

Aggressività. Questo vedo in ogni dove. Nelle famiglie. Per strada. Nei social. L’imperativo è: scannarsi. Vince chi urla di più. Alzare i toni. Farsi valere. Che ne è stato della gentilezza? Ci sono parole e parole. Parole che uniscono e parole che dividono. Gesti di pace e gesti di guerra. La società è lo specchio delle nostre azioni. La società è lo specchio di ciò che siamo diventati.

Del monaco buddista vietnamita Thich Nhat Hahn, estesa al mondo:”Impariamo a coltivare nella nostra relazione, durante tutto il giorno, il sentimento di gentilezza, impariamo a nutrire il nostro amore. Un amore, per quanto bello sia, non può sopravvivere se non sappiamo come nutrirlo. Per questo coltivare la gentilezza è la via per mantenere vivo il nostro amore e per aiutarci a crescere tutti i giorni.”

BERTOLD BRECHT. ELOGIO AL DUBBIO.

Di Antonella Pederiva.

Non per caso L’alba di un nuovo giorno Inizia col grido del gallo Che fin dai tempi antichi indica Un tradimento.

(Alba)

Una poesia e una scrittura che porta il lettore alla riflessione, quella di Bertold Brecht, il principale drammaturgo tedesco del Novecento, nato nel 1898 ad Augsburg (Augusta – Baviera). Un poeta, scrittore, drammaturgo ironico, dissacrante, critico, indipendente, capace di filosofeggiare sui più grandi argomenti con grande logica e con termini chiari, incisivi, penetranti.Anche le sue opere furono bruciate a Bebelplatz il 10 maggio 1933.

“Dort, wo man Bücher verbrennt, verbrennt man am Ende auch Menschen”. “Là dove si bruciano i libri si finisce per bruciare anche gli uomini”, recita la frase scritta nel 1817 dal poeta Heinrich Heine, posta sulla targa a ricordo dello scempio.Il consolidamento del potere, non di rado, passa anche attraverso questo, il tentativo di mettere un bavaglio alla cultura e al libero pensiero.

“Chi ai nostri giorni intende combattere la menzogna e l’ignoranza e vuole scrivere la verità, ha da superare almeno cinque difficoltà.Deve avere il coraggio di scrivere la verità, benché ovunque essa venga soffocata; l’accortezza di riconoscerla, benché ovunque essa venga travisata; l’arte di renderla maneggevole come un’arma; il giudizio di scegliere coloro nelle cui mani essa diventa efficace; la scaltrezza di propagarla fra questi. Tali difficoltà sono grandi per quelli che scrivono sotto il fascismo, ma esistono anche per quelli che sono stati banditi o hanno dovuto fuggire, e valgono persino per coloro che scrivono nei paesi della libertà borghese.

“(tratto dal saggio “Cinque difficoltà per scrivere la verità“)”Segavano i rami sui quali erano seduti e si scambiavano a gran voce la loro esperienza di come segare più in fretta, e precipitarono con uno schianto, e quelli che li videro scossero la testa segando e continuarono a segare.”Anche Brecht pone l’accento sulla stoltezza umana, sull’esperienza come inutile monito per l’Umanità, sulla mancanza di dubbi che portano l’Uomo nel baratro, sull’arte subdola della persuasione attraverso i mezzi di scrittura e stampa. Lo spiega bene nella sua opera, rimasta, purtroppo, incompiuta, “Il romanzo dei Tui” in cui “Tui” è “l’intellettuale dell’epoca delle merci e dei mercati. Il noleggiatore dell’intelletto”, come lui stesso spiegò. L’intellettuale disposto a vendersi al miglior offerente.

“[…]richiede studio e allenamento. E molta disciplina. Solo con l’esercizio è possibile elevarsi dalle bassezze della leccata corriva, e soltanto quando la perseveranza lascia il posto alla fantasia si diviene veri maestri. Il complimento comune è merce dozzinale, cicaleggio meccanico senza senso né ragione, privo di ogni raffinatezza. Il lecchinaggio praticato come un’arte invece produce espressioni originali, peculiari, profondamente sentite: crea una forma. L’artista completo è duttile, poliedrico, sempre capace di sorprendere. […] Questo non è più dilettantismo, è già arte. L’arte del leccapiedi è inoltre, sia detto per inciso, una delle poche che dà di che vivere. Il lecchinaggio nutre il suo discepolo.Come ogni arte, anche questa ha la sua storia e ha conosciuto epoche di prosperità ed epoche di declino, così come una continua mutazione degli stili”.

Luci e ombre

Gli uni stanno nell’ombra

Gli altri nella luce

E si vedono coloro che stanno nella luce

E coloro che stanno nell’ombra

Non si vedono.

VIAGGIO ALL’INTERNO DELL’ESSERE

Di Antonella Pederiva

Chi di noi può dire di sentirsi veramente compreso? Ognuno di noi, credo, coltivi in sé questa speranza. Desiderio che, spesso, si traduce in utopia. Nessuno arriverà mai ad essere veramente compreso. Siamo un mistero troppo grande, troppi i sentimenti e le emozioni che si agitano convulsi in noi.

Viviamo un mondo intimo che è solo nostro. Impenetrabile. Sconosciuto a volte anche a noi stessi. Un grande amore, intenso, forte, spavaldo e disinteressato, fatto di attenzione e di cura, potrebbe forse provare ad arrivare vicino a scalfire la corazza che custodisce il nostro io e le nostre emozioni, ma i grandi amori e i grandi sentimenti, sono perle confuse tra deserti di sabbia.

La serenità allora ci appartiene. La serenità è affare nostro. Impariamo prima di tutto a fare pace con noi stessi, ad accettarci, con le nostre debolezze e i nostri limiti. Impariamo ad amarci con le nostre imperfezioni. Lavoriamo su noi stessi e in noi stessi. Non nascondiamoci. Non cerchiamo a tutti i costi l’approvazione di tutti. Non la troveremo mai. Facciamo un viaggio al nostro interno, comprendiamo ciò che siamo e cerchiamo di esserlo veramente.

ITALIAN CHEESE AWARDS. È IL SAN MARTIN IL MIGLIOR SEMI-STAGIONATO D’ITALIA .

GRANDE SUCCESSO PER L’AZIENDA AGRICOLA SAN LORENZO

di Antonella Pederiva.

“Il signor Palomar pensa che in ogni formaggio c’è un pascolo, un cielo, e un segreto diverso tramandato per ognuno da secoli e secoli. Non è questione di scegliere il proprio formaggio, ma d’essere scelti. Perché tra formaggio e cliente, c’è un rapporto reciproco. Ogni formaggio aspetta il suo cliente, si atteggia in modo d’attrarlo, con una sostenutezza o granulosità un po’ altezzosa, o al contrario, sciogliendosi in un arrendevole abbandono.

” Voglio iniziare con questo brano, tratto dal libro “Palomar” di Italo Calvino, il mio articolo a commento di un evento unico nel suo genere e nel panorama italiano, probabilmente mondiale, “Italian Cheese Awards”, l’Oscar dei formaggi, organizzato da Guru Comunicazione, quest’anno con il patrocinio del Comune di Cittadella, bellissima città fortificata nella provincia di Padova, e con la collaborazione della Pro Loco locale. Una manifestazione che, dopo mesi di ricerche, selezioni e degustazioni, porta sul palco, a contendersi l’ambita statuetta, 33 formaggi provenienti dalle diverse regioni italiane. 10 riconoscimenti ad altrettante categorie, più sette premi speciali.

Ad aggiudicarsi il premio, nell’edizione 2021, come miglior formaggio semi-stagionato, è il San Martin, dell’Azienda Agricola San Lorenzo di Ponzone, Alessandria, Piemonte, già miglior formaggio di montagna nell’edizione 2019. Un premio meritato, come d’altronde quello di tutti gli altri vincitori, ma che è la giusta conclusione, o se vogliamo il punto di partenza, del sacrificio di un’intera famiglia. In ogni formaggio c’è un pascolo, un cielo, e un segreto diverso tramandato per ognuno. Lo sa bene Fedele Lauria, casaro, 31 anni appena, dalle cui sapienti mani ha trovato genesi questo formaggio, prodotto con il solo utilizzo della munta del mattino, la cui cagliata viene rotta più volte, salata, pressata in forma, lasciata asciugare per 7 giorni e 7 notti, lasciata stagionare in cantina per 60 giorni, per ottenere una pasta dal sapore complesso e importante, una pasta profumata e delicata che sollecita il palato, scatenando cascate di emozioni sensoriali.

Non è solo, Fedele, nella sua continua ricerca di perfezione, nella sua rielaborazione rispettosa di antiche ricette contadine, a supportarlo e a dargli la possibilità di esprimere la sua creatività, sono i fratelli, Mariangela e Davide, 29 e 23 anni, che lo aiutano nelle necessarie attività quotidiane di allevamento, confezionamento e marketing; alle sue spalle, sostegno e forza, un padre, Francesco, il fautore di tutto, colui che nel 1998 lasciò un lavoro sicuro in Svizzera per partire verso una terra nuova, la sua terra promessa, dove contava di realizzare un sogno. Anni di rinunce, condivise dapprima con la moglie Angelina, e poi con i figli, un amore per la natura, per le capre, trasmesso, è il caso di dirlo, con il primo nutrimento della vita.

Un vecchio casolare ristrutturato, immerso nel verde dei boschi piemontesi, una decina di capre, che con gli anni sono diventate 510, passione, lavoro, unite alla tenacia di resistere anche nei momenti di sconforto, tutto questo è scritto nelle mani esultanti di tre giovani che alzano al cielo una statuetta, ponte e congiunzione verso il futuro. Il miglior formaggio semi-stagionato d’Italia è il loro, ed è il frutto delle giornate trascorse al pascolo nella terra che è diventata la loro patria, quel terreno puro e incontaminato, a 629 metri sul livello del mare, tra Piemonte e Liguria, ricco di biodiversità, che offre agli animali vasta libertà di scelta delle erbe migliori, è il risultato di ore di laboratorio per ottenere un formaggio completamente artigianale e sano, privo di additivi chimici, ottenuto lavorando una materia prima, il latte crudo, che conserva intatte, nel prodotto, tutte le sue proprietà nutritive e gli enzimi naturali così utili al nostro organismo.

Sul palco dell’Italian Cheese Awards, la loro gioia era palese, la commozione palpabile; le lacrime vere, l’emozione, non sono passate inosservate e hanno colpito al cuore anche i conduttori dell’evento, Luca Olivan, direttore di Guru Comunicazione, e Irene Guglielmi, bravissima e sensibile artista e cantante, con all’attivo importanti collaborazioni televisive e musicali, che, oltre a presentare, ha regalato al pubblico presente in sala e in streaming un’interpretazione straordinaria di alcuni brani musicali celebri, tra cui l’indimenticabile “New York, New York”.

JOSÉ SARAMAGO. L’OSSERVATORE IMPLACABILE DEL MONDO

Di Antonella Pederiva .

RAGIONI NON CHIEDETE

Ragioni non chiedete, non ne ho,

o ne darò a iosa: lo sappiamo

che le ragioni son parole, tutte nate

dal mite perbenismo che impariamo.

Ragioni non chiedete per capire

la forza di marea che m’empie il petto,

questo star male al mondo e in questa legge:

la legge io non l’ho fatta, il mondo io non l’accetto.

Ragioni non chiedete, né scusanti,

del modo mio d’amare e d’annientare:

quando la notte è troppa arriva l’alba

di primavera che dovrà spuntare.

Una data storica, una data importante per chi ama la poesia: il 16 novembre 1922, a Azinhaga, in Portogallo, nasce un intellettuale scomodo che ha lasciato un’impronta indelebile nella letteratura contemporanea, un osservatore implacabile delle meschinità di un mondo che ha fatto dell’individualismo la sua bandiera. Un mondo cieco, condizionato dall’egoismo e incapace di guardare a fondo nell’animo del prossimo.

“La cecità stava dilagando, non come una marea repentina che tutto inondasse e spingesse avanti, ma come un’infiltrazione insidiosa di mille e uno rigagnoli inquietanti che, dopo aver inzuppato lentamente la terra, all’improvviso la sommergono completamente.”

Avanza lentamente l’epidemia di cecità nel suo libro omonimo, si insinua, apparentemente innocua, fino a sommergere tutto, una forza subdola, dall’apparenza tranquilla ma invece dotata di deciso potere distruttivo. “Secondo me non siamo diventati ciechi, secondo me lo siamo, Ciechi che vedono, Ciechi che, pur vedendo, non vedono.”

Il messaggio è chiaro, dobbiamo imparare a guardare con altro mezzo, con occhi diversi di quelli che abbiamo nel viso, perché la verità, la realtà, spesso, non è quella che abbiamo davanti. È sagace, Saramago, caustico, spietato verso una società globalizzata, succube delle multinazionali, una società che non ha saputo difendere l’idea primordiale di democrazia, che ne ha spersonalizzato il nome, riducendolo a mero vocabolo. Uno “scrittore che con parabole sostenute con l’immaginazione, compassione ed ironia ci permette di afferrare ancora una volta, una realtà illusoria”, questa la motivazione di attribuzione del Premio Nobel per la letteratura, nel 1998.

“L’uomo più saggio che io abbia conosciuto”, dirà, mentre riceve il riconoscimento e riferendosi al nonno, “non era in grado né di leggere né di scrivere”. Perché in fondo la saggezza non è nella cultura, intesa come ripetizione di nozioni, ma nell’esperienza e nella consapevolezza di una vita spesa a portare avanti la propria sensibilità ed umanità. Saramago fu anche poeta, non tecnico di poesia, ma portatore di versi rivelatori del suo sentire, onesto, libero, dissacratore che seppe usare la parola come pretesto per indagare e mettere a nudo le complessità del genere umano.”Dimentichiamo troppo spesso che gli uomini sono fatti di carne facilmente rassegnata. È dall’infanzia che i maestri ci parlano di martiri, che diedero esempi di civiltà e di morale a loro spese, ma non ci dicono quanto doloroso fu il martirio, la tortura. Tutto rimane in astratto, filtrato come se guardassimo, a Roma, la scena attraverso spesse pareti di vetro che ammortizzano i suoni, e le immagini perdessero la violenza del gesto per opera, grazia e potere di rifrazione. E allora possiamo dirci tranquillamente l’un l’altro che Giordano Bruno fu bruciato. Se gridò, non lo sentiamo. E se non lo sentiamo, dove sta il dolore? Ma gridò, amici miei. E continua a gridare.” (da” A bagagem do viajante”). Tanti sono i martiri che la Storia ha conosciuto, tanti sono i martiri che ancora gridano, in queste nostre pagine di storia quotidiana, grida inascoltate, immagini dagli schermi, che guardiamo, senza che ci arrivi il dolore.

Di José Saramago

POESIA A BOCCA CHIUSA

Non dirò:

che il silenzio mi soffoca e imbavaglia.

Zitto io sto e zitto resterò:

la lingua che io parlo è d’altra razza.

Si ammucchiano parole consumate,

ristagnano, cisterna d’acqua morte,

acide pene in fango trasformate,

melma fangosa con radici storte.

Non dirò:

che non meritano neppur lo sforzo d’esser dette,

parole inette a dire quanto so

qui nel rifugio in cui non mi conoscono.

Non solo fango o melma si trascinano,

non solo bestie, morti, paure galleggiano,

turgidi frutti in grappoli s’intrecciano

nel nero pozzo da dove affiorano dita.

Dirò solo:

stizzosamente appartato e muto,

che chi si tace quanto io ho taciuto

non può morire senza dire tutto.

CHI SEI?

Di Antonella Pederiva

Cartesio disse: “Penso dunque sono.” Ma se qualcuno arrivasse e chiedesse: “Tu sei, ma sei cosa?”, si rimarebbe imbarazzati. Questa è una domanda molto difficile. “Chi sei tu?” A volte si deve praticare per anni e anni per essere in grado di sapere chi si è e per poter dire ad un’altra persona chi siamo.

(Thich Nhat Hanh)