Fonte foto: profilo FB del gruppo “Alberto Radius e la sua Formula 3”
Le canzoni indimenticabili di Lucio Battisti caricano l’atmosfera di pathos, riportano alla mente le calde estati di altri tempi, aprono le porte ai ricordi. La chitarra di Alberto Radius è un ponte tra le epoche, un fil rouge tra le generazioni. Tante cose sono cambiate, nella musica e nella società, purtroppo non in meglio, dagli anni d’oro con la coppia Battisti-Mogol, da quel 1969 in cui Radius, insieme a Tony Cicco e Gabriele Lorenzi, fondò una band destinata a passare alla storia come la più innovativa degli anni ’70. Una band che, con “Questo folle sentimento”, sigla di una trasmissione pomeridiana in Rai, ottenne subito il quarto posto in classifica e schizzò in alto nelle preferenze del pubblico. Anni di successi e di brani intramontabili come Sole giallo, sole nero, Se non è amore cos’è, Io ritorno solo, La folle corsa, Nessuno nessuno, Eppur mi son scordato di te, Sognando e risognando, Storia di un uomo e di una donna. La Formula 3, si sciolse definitivamente nel 2013 ma la sua musica risuona dai palchi con la nuova formazione di Radius e dei suoi musicisti, Viky Ferrara, Paul Lerany, Roby Capuano, Salvatore Bazzarelli; vibra anche il 16 settembre a Casalguidi, nell’ambito dell’evento “Non è la fiera”, organizzato dal comitato Fiera e dalla ProLoco, in collaborazione con l’Amministrazione Comunale, entusiasmando i presenti e riempiendo i cuori di infinita nostalgia.
Lucio Battisti scrisse e produsse per loro numerosi brani e divise con loro i palchi dei concerti, insieme ai Dik Dik, fu l’unico gruppo ad averlo accompagnato dal vivo, nel 1969, in una esibizione televisiva. Stiamo parlando della Formula 3, band originariamente composta da Alberto Radius (chitarre e voce), Tony Cicco (batteria e voce) e Gabriele Lorenzi (tastiere), sostituito in seguito da Ciro Di Bitonto. Tra i maggiori successi si ricordano Questo folle sentimento, Eppur mi son scordato di te, Io ritorno solo, Sole giallo sole nero, La folle corsa. Stasera la Formula 3 si esibirà a Casalguidi, Pistoia, nell’ambito dell’evento “Non è la fiera”.
Anno scolastico 2021-2022. Si inizia. Tra mille difficoltà, dubbi, controversie. Non sarà un anno facile, non mancheranno le polemiche, le contestazioni, le prese di posizione. Non voglio entrare nell’ambito politico della cosa, anche se, purtroppo, in ambito scolastico fin troppo la politica si insinua. Scuola. Luogo di cultura, luogo sacro di aggregazione e uguaglianza. Luogo non solo di apprendimento ma di formazione personale, civile, sociale, umana. Luogo ideale dove mettere in pratica l’articolo 3 della Costituzione che così recita:
Art. 3. – Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.L’auspicio è che l’esercizio di questo articolo non sia mai disatteso. Da poeta, una preghiera, non dimenticatevi del potere immenso della poesia per risvegliare spirito e coscienza, per diffondere sensibilità e valori, per formare anime consapevoli.
“La musica ci cambia la vita e ci salva. È una cosa meravigliosa che trascende i confini”, disse un giorno Ezio Bosso. La musica trascende anche i confini della morte, perché il Maestro non è morto e non morirà mai. La sua musica è qui, vola nell’aria, si espande, risuona da casa a casa, varca le frontiere dei paesi e dei cuori, solleva le anime e restituisce i ricordi; il viso sorridente di Ezio, gli occhi vivaci e quella bacchetta che fende l’aria, che imperiosamente ordina le note, dona sospiri agli accordi. Le braccia del Maestro sono ali ora, finalmente libere di volare, in un’altra dimensione, in spazi siderali di eterna bellezza. Il 13 settembre, il mondo festeggia il suo compleanno; in questo 2021 sono 50 anni dalla sua nascita terrena, 50 anni di Storia, mezzo secolo che ci è stato regalato, e il Maestro è qui, vivo nelle nostre menti, ci guarda sornione e dispensa le sue pillole di saggezza. Nulla si disperde, tutto si ricrea, perché “la morte è la curva della strada, morire è solo non essere visto. Se ascolto, sento i tuoi passi esistere come io esisto. La terra è fatta di cielo. Non ha nido la menzogna. Mai nessuno s’è smarrito. Tutto è verità e passaggio”, come scrisse Pessoa.
Mai nessuno si è smarrito, tutto è passaggio, verso quel vivere diverso a cui ognuno di noi è destinato, verso quell’ignoto che temiamo, che le religioni hanno tentato di spiegare. Ma Ezio Bosso è già immortale, come immortali sono tutti i grandi uomini e le grandi donne che, in questa vita, hanno lasciato un segno indelebile della loro venuta. Ezio Bosso vive, più reale che mai e la sua tenacia, la sua ferrea volontà, il suo coraggio, la sua determinazione, la sua gentilezza, il suo pensiero, sono, pari alla sua musica, esempio e colonna sonora della nostra esistenza.
Così scriveva Stefano D’Orazio, storico batterista dei Pooh, insieme a Roby Facchinetti, nel suo ultimo brano “Rinascerò, rinascerai”, dedicato alle ferite di Bergamo. Una canzone d’amore per una città martoriata. La speranza di giorni migliori. Non ha potuto vedere i giorni a venire, Stefano, la morte lo ha colto il 6 novembre 2020, proprio mentre la battaglia contro la malattia che lo perseguitava da anni sembrava quasi essere vinta. “Abbiamo perso un fratello, un compagno di vita”, scrivevano in un post Roby Facchinetti, Red Canzian, Dodi Battaglia e Riccardo Fogli. E non è difficile credere loro, mentre scorrono sugli schermi le immagini dei loro concerti. Dal 1971, anno in cui era entrato a far parte della band, la sua batteria era diventata un elemento centrale e fondamentale dello spettacolo. Vederlo suonare, e parlo da spettatrice, era come fare un pieno benefico di energia. Ogni battito aggiungeva un battito al ritmo del cuore. Non ricordo un concerto senza quel grande immenso sorriso che testimoniava il suo grande amore per ciò che stava facendo. Un uomo simpatico, vitale, ironico, dotato di una mimica che pareva mettere a nudo il suo entusiasmo e la sua voglia di vita, i riccioli ribelli che lo facevano sembrare un ragazzo anche quando lo scorrere del tempo li aveva spolverati di bianco. Oggi, 12 settembre 2021, Stefano avrebbe compiuto 73 anni ma il condizionale passato ben poco si adatta alla sua immagine. Stefano D’Orazio È. Immutabile, eterno, come lo è la musica, come lo è la poesia, come lo è l’arte, come lo è l’affetto e l’amore di chi ha avuto l’onore di viverlo nel suo passaggio terreno.
Sono amore e patria i temi principali de “Le ultime lettere di Jacopo Ortis” il romanzo epistolare di Ugo Foscolo, che ricordiamo oggi nell’anniversario della sua morte, il 10 settembre 1827. Un romanzo, a ben vedere, molto simile al romanzo di Goethe “I dolori del giovane Werther”. Come Werther, anche Jacopo soffre per un amore impossibile e osteggiato ma il contesto di sofferenza sentimentale, differentemente da Werther, è di pretesto a Foscolo anche per denunciare la tirannia dello Stato, l’ipocrita morale borghese. L’amore consola, distoglie dalla negatività della storia politica che si sta consumando, una storia che il protagonista vorrebbe cambiare, senza però averne i mezzi. La fine tragica è la conseguenza di un tentativo fallito di rivendicazione di un diritto, e l’estrema virtù che si impone e si fa notare attraverso il sacrificio della vita. Quando gli ideali in cui aveva creduto, si rivelano mere illusioni, quando la crudezza della realtà prende il dominio sui sogni, quando la certezza dell’inutilità dello sforzo di spezzare il giogo della schiavitù si fa forte, a Jacopo non resta altra scelta che sparire, ma non in silenzio, facendo rumore. Chi ama la libertà non può scendere a compromessi, sembra insegnarci Foscolo. Chi ama giustizia e libertà, non può rassegnarsi ad essere pedina di un potere superiore, non può cedere alla logica della sopraffazione, della sottomissione del debole da parte del più forte.
Le ultime lettere di Jacopo Ortis – Da’ Colli Euganei, 16 Ottobre 1797.Or via, non se ne parli più: la burrasca pare abbonacciata; se tornerà il pericolo, rassicurati, tenterò ogni via di scamparne. Del resto io vivo tranquillo; per quanto si può tranquillo. Non vedo persona del mondo: vo sempre vagando per la campagna; ma a dirti il vero penso, e mi rodo. Mandami qualche libro.Che fa Lauretta? povera fanciulla! io l’ho lasciata fuori di sé. Bella e giovine ancora, ha pur inferma la ragione; e il cuore infelice infelicissimo. Io non l’ho amata; ma fosse compassione o riconoscenza per avere ella scelto me solo consolatore del suo stato, versandomi nel petto tutta la sua anima e i suoi errori e i suoi martirj, davvero ch’io l’avrei fatta volentieri compagna di tutta la mia vita. La sorte non ha voluto; meglio così, forse. Ella amava Eugenio, e l’è morto fra le braccia. Suo padre e i suoi fratelli hanno dovuto fuggire la loro patria, e quella povera famiglia destituta di ogni umano soccorso è restata a vivere, chi sa come! di pianto. Eccoti, o Libertà, un’altra vittima. Sai ch’io ti scrivo, o Lorenzo, piangendo come un ragazzo? – pur troppo! ho avuto sempre a che fare con de’ tristi; e se alle volte ho incontrato una persona dabbene ho dovuto sempre compiangerla. Addio, addio.
“Sono il padre delle mie carezze, e la madre delle mie esperienze; sono figlia di una certa fama, sono una figlia di… figlia di… Loredana”. Inizia con il suo ultimo singolo, “Figlia di…” il concerto pisano di Loredana Bertè. Comincia con la rivendicazione della propria identità, quasi a voler perentoriamente imporre, ancora prima di proporre gli altri brani del suo repertorio, la propria personale esperienza, il proprio essere donna che, senza appoggiarsi agli altri, ha saputo crearsi da sé. Gli occhi che osservano il pubblico, dalla gigantografia sullo schermo che domina il palco, sono occhi decisi, fermi, severi. Sono gli occhi di chi ha viaggiato attraverso il tempo portando un bagaglio non indifferente di vissuto, a volte, spesso, difficile, ingombrante, doloroso. Certe situazioni, vissute in giovane età, come sono state le sue, o forgiano un carattere indomito e ribelle o lentamente corrodono l’anima; assommandosi ad altre, piano piano, trascinano verso il buio, verso l’oblio. La donna sul palco che, dopo “Figlia di”, intona “Il mare d’inverno” e via via tanti altri brani del suo repertorio, è una donna che, a 71 anni, è ancora in crescita, in divenire, grintosa, padrona di sé e della sua vita, consapevole che l’età è anche un affare di testa, di cervello. Nella meravigliosa piazza dei Cavalieri, a pochi passi dalla Torre, simbolo della città toscana, la prima e forse unica cantante ad usare sonorità reggae in Italia, l’indiscussa regina del rock italiana, dà, ancora una volta, prova del suo talento, riempiendo l’aria serale con una voce strepitosa, bella come sempre e più di sempre, ancora più accattivante e coinvolgente degli anni della sua ascesa. Dialoga con la gente, Bertè, non si sottrae all’affetto del pubblico presente, comunica con la verve e con l’ironia che la contraddistingue, si offre e offre la sua arte con la semplicità di un’artista che alla musica ha dato tanto, forse tutto, che dalla musica ha attinto forza, determinazione, coraggio, energia. Una figlia di Loredana, figlia di tutto ciò che è stata, che ancora tiene testa alle nuove generazioni di cantanti, ineguagliabile, intramontabile, eterna, che può non essere che fiera del suo percorso e di ciò che finora ci ha lasciato. Leggenda.
Siamo quello che siamo, siamo quello che siamo stati. Siamo i nostri sogni, siamo le nostre esperienze, siamo le gioie che ci hanno illuminato gli occhi, siamo le nostre sofferenze. Siamo gli occhi stanchi di nostra madre, siamo i suoi sorrisi, siamo le mani che ci hanno accompagnato, siamo le orme dei passi dei nostri padri, siamo la terra che ci ha visto nascere, siamo braccia distese al futuro.
L’8 settembre 2021, il tour estivo di Loredana Berté si ferma a Pisa, in piazza dei Cavalieri, sul palco del Summer Knights 2021, l’evento estivo del Comune di Pisa, assessorato alla cultura, in collaborazione con la Fondazione Teatro Verdi. Organizzato dalla LEG Live Emotion Group, il concerto inizierà alle ore 21.30. Emmea Video & Poetry sarà presente con le riprese video di Marco Bartolomei ed il commento giornalistico di Antonella Pederiva.
Che il mondo non sia la quintessenza di un’eterna razionalità si può dimostrare definitivamente con il fatto che quella parte di mondo che noi conosciamo, e cioè la nostra ragione umana, non è eccessivamente razionale. E se essa non è sempre e completamente saggia e razionale, allora neppure la rimanente parte del mondo lo sarà. Qui vale la deduzione “a minori ad majus”, “a parte ad totum”, e anche con forza determinante.(Da “Il viandante e la sua ombra” di Friedrich Nietzsche)
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Dalla poca razionalità dei singoli dipendono spesso le sorti del mondo. A minori ad majus, dal più piccolo al più grande, a parte ad totum, dalla parte al tutto. La società è formata da singoli e se i singoli non sono né saggi né razionali nemmeno la società lo sarà. (Antonella Pederiva)
Il 5 settembre 1946 nasce un uomo destinato ad essere ricordato come uno dei più grandi e significativi artisti di sempre, un cantante con un’estensione vocale in grado di coprire quattro ottave, un personaggio controverso ma carismatico, unico e irripetibile, istrionico e geniale. Stiamo parlando di Freddie Mercury, un uomo che sul palco è riuscito a coniugare musica e teatro, ironico, dissacrante, innovativo, fantasmagorico nelle sue strabilianti trasformazioni. Con il gruppo da lui fondato all’inizio del 1970 insieme a Brian May, Roger Taylor e Mike Grose (sostituito a febbraio 1971 da John Deacon), ha composto e portato letteralmente in scena capolavori, solo per citarne alcuni, come Bohemian Rhapsody, We Are the Champions, Somebody to Love, Killer Queen, Don’t Stop Me Now, The show must go on, Radio Ga Ga, We will Rock You, Bicycle Race. Nato come Farrokh Bulsara, figlio di Bomi e Jer Bulsara (originari del Gujarat, una regione dell’India occidentale, di etnia parsi e religione zoroastriana), cresciuto, insieme alla sorella Kashmir, a Stone Town, nell’isola di Zanzibar, Mercury cominciò ad esibirsi giovanissimo alla St. Peter’s Boys School di Panchgani, nei pressi di Bombay, in India, dove i compagni lo soprannominarono Freddie e dove si fece notare anche per il suo talento sportivo. A causa della rivoluzione che stava cambiando gli assetti politici dell’isola, fu costretto, nel 1964, a 18 anni, ad emigrare in Inghilterra con tutta la famiglia. Ed è proprio in Inghilterra che, dopo vari tentativi di farsi strada insieme ad altri gruppi, conosce coloro che entreranno nella Storia insieme a lui sotto il nome altisonante di Queen. Aldilà delle classifiche che lo vogliono al diciottesimo posto come migliore cantante e secondo tra i migliori frontman, meritato è sicuramente il primo posto come Greatest Rock Legend Of All Time, la più grande leggenda rock di tutti i tempi. Non potrebbe essere altrimenti, nessuno come lui, nonostante la sua timidezza nella vita quotidiana, ha meglio saputo impadronirsi del palco e stravolgere l’idea stessa di spettacolo. La sua arte, il suo talento, la sua abilità di compositore e di musicista, i suoi travestimenti, la sua grinta, la sua personalità magnetica e sensuale, il suo modo di fare musica con quel vibrato da 7 HZ assolutamente incredibile, la sua capacità di trarre energia dal pubblico, di dispensare a pieno rock la sua energia, fanno di lui un mito, una leggenda assoluta, regale e immortale.
“Ho sempre di più la sensazione che, in un certo senso, Freddie sia ancora con noi. Forse sto diventando un po’ romantico ma Freddie fa parte di tutte le mie giornate”. Queste le parole di Brian May (uno dei migliori chitarristi di sempre, un artista che con la sua fedele chitarra soprannominata Red Special o anche Fireplace o Red Lady, dal colore rossastro del mogano e dall’unicità di questo strumento, il cui manico è stato ricavato da una mensola di un vecchio caminetto), in una delle sue interviste concesse per festeggiare il ritorno al primo posto in classifica con la ristampa per i 40 anni della raccolta “Greatest Hits”, l’album più venduto nella storia del Regno Unito.
La mia anima è colorata come le ali delle farfalle Le favole di ieri crescono ma non moriranno mai Io posso volare, amici miei. (Freddie Mercury)
Vi ho abituati a ricordare nascite e decessi di poeti e scrittori. Oggi vorrei solamente parlarvi di quest’uomo, Joseph Rudyard Kipling. In occasione di cosa? Di nulla. O di questo difficile e particolare momento della Storia che stiamo vivendo. O solo per dedicare la sua lettera “If” a tutti coloro la cui vita è una ricerca di sé, a coloro che si battono per ideali di libertà e giustizia e di uguaglianza, a tutti coloro che si mettono in discussione e in dubbio e soprattutto in ascolto, degli altri e della loro coscienza di uomini.
JOSEPH RUDYARD KIPLING, scrittore e poeta inglese (Bombay 1865 – Londra 1936), cresciuto tra Inghilterra e India, è uno tra i più noti ed innovativi autori di libri di avventura e per ragazzi. Una scrittura, la sua, basata su una visione strettamente correlata alla realtà e avvolta, contemporaneamente, in un alone fantastico, capace di catturare ogni senso, entusiasmante e avvincente. Le sue poesie, i suoi romanzi e racconti, molti dei quali di ambientazione indiana, evocano immagini di straordinario vigore e rilievo, sensazioni e suggestioni di rara intensità. Identificato come il cantore dell’imperialismo britannico, Kipling ha saputo ambientare gli ideali in un ricchissimo immaginario, senza però perdere di vista i lati più aspri e crudi del dominio coloniale. Raggiunse la notorietà con le poesie Barrack-room ballads (1892) a cui seguirono i suoi capolavori: The jungle book (1894), The second jungle book (1895), Captains courageous (1897) e Kim (1901).
Tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo è stato tra gli scrittori più famosi del Regno Unito.
Nel 1907, fu insignito del Premio Nobel per la letteratura, primo scrittore in lingua inglese a ricevere il premio a 41 anni, il più giovane finora. Chiamato per il British Poet Laureateship e diverse volte per un cavalierato, rifiutò entrambi.
Dopo la sua morte nel 1936, le sue ceneri furono sepolte all’angolo dei poeti, parte del transetto sud dell’Abbazia di Westminster .
SE (IF)
Se saprai mantenere la testa quando tutti intorno a te la perdono, e te ne fanno colpa. Se saprai avere fiducia in te stesso quando tutti ne dubitano, tenendo però considerazione anche del loro dubbio. Se saprai aspettare senza stancarti di aspettare, o essendo calunniato, non rispondere con calunnia. O essendo odiato, non dare spazio all’odio, senza tuttavia sembrare troppo buono, nè parlare troppo saggio; se saprai sognare, senza fare del sogno il tuo padrone; se saprai pensare, senza fare del pensiero il tuo scopo. Se saprai confrontarti con Trionfo e Rovina e trattare allo stesso modo questi due impostori. Se riuscirai a sopportare di sentire le verità che hai detto distorte dai furfanti per abbindolare gli sciocchi, o a guardare le cose per le quali hai dato la vita, distrutte. E piegarti a ricostruirle con i tuoi logori arnesi. Se saprai fare un solo mucchio di tutte le tue fortune. E rischiarlo in un unico lancio a testa e croce, E perdere, e ricominciare di nuovo dal principio senza mai far parola della tua perdita. Se saprai serrare il tuo cuore, tendini e nervi nel sentire il tuo scopo quando sono da tempo sfiniti, e a tenere duro quando in te non c’è più nulla se non la volontà che dice loro: “Tenete duro!” Se saprai parlare alle folle senza perdere la tua virtù, o passeggiare con i Re, rimanendo te stesso, se nè i nemici nè gli amici più cari potranno ferirti, se per te ogni persona conterà, ma nessuno troppo. Se saprai riempire ogni inesorabile minuto dando valore ad ognuno dei sessanta secondi, tua sarà la Terra e tutto ciò che è in essa, e, quel che più conta, sarai un Uomo, figlio mio!